La regolarizzazione degli stranieri può essere un rischio in assenza di controlli capillari sul territorio.
Continua a tenere banco la discussione sulla regolarizzazione dei braccianti stranieri lanciata da Italia Viva, nello specifico dalla ministra Bellanova. Il Partito democratico ha abbracciato la battaglia dei renziani, mentre il Movimento 5 Stelle resta scettico se non addirittura contrario. Ma la questione non è solo politica.
Tecnici ed esperti concordano su due punti: la regolarizzazione dei migranti in sé non sposta gli equilibri per quanto riguarda i contagi ma necessita di un meticoloso controllo sul territorio.
La regolarizzazione dei braccianti stranieri
Il tema legato agli stranieri che lavorano nei campi è complesso e delicato. La regolarizzazione in sé non rappresenta ovviamente un fattore di rischio. Le condizioni in cui sono costretti a vivere e lavorare invece sì.
I braccianti sono costretti a vivere in condizioni igienico-sanitarie sotto gli standard, vivono in spazi ristretti. Rispettare le norme legate al distanziamento sociale sia nelle abitazioni di fortuna che sul posto di lavoro, ossia nei campi, è difficile se non impossibile.
Per limitare i rischi dovrebbero vivere quasi ventiquattro ore su ventiquattro con la mascherina sul viso e i guanti alle mani. Un sacrificio enorme, apprezzabile ma necessario. E per la salvaguardia della comunità residente nelle aree in questione servono controlli capillari sul territorio.
Il problema del caporalato
E qui il problema diventa tutto italiano. Spesso i braccianti sono al soldo di caporali senza scrupoli che non si curano del benessere di queste persone. Perché dovrebbero farsi problemi adesso? La domanda parte da un presupposto di sfiducia, ma basta farsi un giro nei campi per capire che il caporalato è una piaga dei nostri giorni.
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